La pandemia cambia la tempistica della ripresa e l’economia non riesce a risollevarsi, messa in ginocchia dalla seconda ondata del virus. Il Rapporto GreenItaly 2020 “Un’economia a misura d’uomo per affrontare il futuro” redatto da Fondazione Symbola e Unioncamere spiega perché è necessario puntare sull’economia verde.
"Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla" Un esordio di speranza, quello di Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, che cita Papa Francesco presentando l’XI edizione del Rapporto GreenItaly “Un’economia a misura d’uomo per affrontare il futuro” redatto insieme a Unioncamere e promosso in collaborazione con Conai, Ecopneus e Novamont, con la partnership di Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne srl ed Ecocerved, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
La pandemia cambia la tempistica della ripresa e l’economia non riesce a risollevarsi, messa in ginocchio dalla seconda ondata del virus. Eppure una strada da percorrere ci sarebbe: l’economia verde. Chi ha investito nel green ne esce rafforzato a prescindere dalle dimensioni dell’impresa, le aziende green affrontano meglio la pandemia e sono più resilienti ai colpi subiti.
Lo attestano i dati del Rapporto GreenItaly presentati da Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere. Il sistema italiano è leader in Europa nell’eco-efficienza, abbiamo il primato del riciclo in Europa (79,3% nel 2018), le imprese italiane utilizzano materiali riciclati per il 14,3%, contro una media europea dell’11%. Aumenta il numero delle imprese green (+21,5%) che sono risultate le più performanti anche in termini di export (+10%). Anche il lavoro si sposta verso il green: nel 2019 l’occupazione nel settore è cresciuta del 35% e per i prossimi anni si prevede che i nuovi lavori saranno green e che i vecchi modelli andranno sostituiti con competenze green. In questo momento di difficoltà anche le imprese green hanno delle criticità, ma hanno dimostrato di avere una marcia in più: hanno aspettative positive rispetto al futuro per occupazione, fatturato ed export; reagiscono meglio perché sono più innovative e hanno fatto ricorso alle tecnologie digitali (aumento delle vendite online e formazione del personale sulle nuove tecnologie, riorganizzazione dei tempi di lavoro per contenere i costi, adattamenti nella gestione aziendale).
Concludendo, possiamo affermare che sono imprese più dinamiche, hanno innovato processo e prodotti, hanno riqualificato i dipendenti e hanno un’immagine aziendale più smart, probabilmente perché sono aziende giovani: sono gestite in maggioranza da under 35. Cosa si aspettano da Next Generation EU? Nuove politiche del lavoro, transizione verde (economia circolare, efficienza energetica, rinnovabili, mobilità sostenibile) transizione digitale (banda larga, 5G, capacità digitali, cloud industriale) e infrastrutture pubbliche.
«Come europei abbiamo fatto una scelta prima del Covid. Il Green Deal è stato sottoscritto l’11 dicembre del 2019 e dimostra l’impegno per una trasformazione radicale» ha detto Vincenzo Amendola, ministro per gli Affari Europei commentando il Rapporto GreenItaly. La transizione verde è strettamente collegata a quella digitale: dove c’è più green c’è più tecnologia. Pur con i suoi primati nel riciclo e nelle imprese green, l’Italia ha un problema di tutela del territorio e di dissesto idrogeologico: l’80% delle frane europee è in Italia e si spreca troppa acqua (in alcune regioni fino al 60%, mentre in Olanda e Germania la perdita si attesta al 5%).
Luca Ruini, presidente di Conai, ha evidenziato l’importanza di fare sistema, per non fermare la raccolta differenziata che il Conai si adopera per potenziare. Ad esempio, un comune con l’aiuto opportuno nel giro di un anno e mezzo può passare da 20 al 65% di raccolta differenziata: grazie alla costruzione di piani di raccolta, selezione e recupero si generano occupazione e risultati.
«Il comparto produttivo che comprende le filiere alimentari e i bioprodotti fino ai rifiuti organici ha un grande valore ed è tra i più resilienti» ha affermato Catia Bastioli, ad di Novamont. L’interconnessione tra chimica verde e agricoltura deve andare oltre la semplice interazione tra comparti economici e tecnici: al centro deve essere la salute e la rigenerazione dei suoli, fattore abilitante per la transizione di modello e superare cultura dello scarto. «Imparare a fare di più con meno è la grande sfida che abbiamo di fronte. Questa rivoluzione si gioca sui territori, sui rapporti tra città e cibo, su agricoltura e filiere integrate, su ecodesign e biodegradabilità dei prodotti, su infrastrutture interconnesse per il trattamento dei rifiuti organici liquidi e solidi e sulla messa in campo di processi fisici, e chimici biotecnologici per trasformare gli scarti in prodotti». È tempo di imparare sul campo: il Green Deal non è solo una visione, servono strumenti per la transizione a cui devono partecipare tutti gli attori del territorio.
articolo tratto da rinnovabili.it
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